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Trieste, città cosmopolita di incontri culturali e letterari (LSSEV)

Trieste è situata lì dove l'Italia confina con la Slovenia. E' terra di confine, di passaggio verso l'est dell'Europa, è luogo di incontri dove culture diverse si incrociano, dialogano e convivono con lo sguardo al mare Mediterraneo, che in quel punto, prende il nome di Mar Adriatico.

La città fu dominata dagli austriaci nel 1700 e occupata dai francesi per tre brevi periodi tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, per poi tornare a far parte dell'Impero Austro-Ungarico nell'800 fino alla fine della prima guerra mondiale.

All'inizio del secolo scorso Trieste fu grande centro cosmopolita e commerciale, settimo porto del mondo per volume di attività, secondo nel Mediterraneo dopo Marsiglia e, ancora oggi, la sua atmosfera mitteleuropea non è svanita, ma si può percepire passeggiando per i suoi quartieri.

Trieste è una città ove hanno sempre convissuto religioni diverse. Ne è la prova l'esistenza delle chiese di San Nicolò dei Greci, Di San Spiridione di culto serbo ortodosso e della sinagoga ebraica, situate in zone piuttosto centrali e tra loro nemmeno troppo distanti.

San Nicolò dei Greci

 

San Spiridione

 

 

Sinagoga ebraica

Per le strade della città si ascoltavano in passato lingue diverse e molti dialetti italiani. Poteva capitare di sentire parlare in maltese, sloveno, croato, turco, tedesco, ceco, greco, ungherese o armeno e le culture si mischiavano dando origine ad un'atmosfera unica. Scrittori e intellettuali si incontravano nei suoi caffè, spesso molto eleganti, in puro stile austroungarico e settecentesco dove nuove opere nascevano dal confronto tra idee e pensieri nuovi.

 

Il famoso Caffè degli Specchi dai cui tavolini si possono ammirare Piazza dell'Unità, il Molo Audace e il mare.

 

 

Guarda la cartina, allarga la finestra e individua i luoghi più rappresentativi di Trieste.

 

A circa sei chilometri dal centro della città, si può visitare il Castello di Miramare, uno degli edifici voluti dalla Corte Asburgica.

Costruito a metà del 1800, fu progettato come residenza di Massimiliano d'Asburgo e della moglie Carlotta del Belgio. Il castello non fu abitato dalla coppia perché Massimiliano, nominato imperatore del Messico, morì fucilato dagli oppositori repubblicani. Si racconta che Carlotta, rimasta sola a Miramare, sia impazzita di dolore per la perdita del marito.

Attualmente il castello è diventato un museo storico e il visitatore può anche godere del parco di 22 ettari voluto da Massimiliano, ricco di vari tipi di vegetazione e a picco sul promontorio con vista mare.

Joyce a Trieste

In questa Trieste di inizio secolo, ancora territorio dell'Impero Austro-Ungarico dove si respirava un'aria mitteleuropea, Joyce approda accompagnato da Nora Barnacle il 20 ottobre 1904. Quando molti suoi connazionali sceglievano di partire per l'America attirati dalla promessa di una nuova e più ricca esistenza, Joyce decide di restare in Europa e di avvicinarsi alla cultura del “Continente”, di scoprire altri scrittori e altre opere che lo portino ad ampliare il suo orizzonte di esperienza, per sentirsi davvero membro della comunità culturale europea. Trieste fu in fondo una scelta casuale, perché gli era stato proposto un lavoro a Zurigo come insegnante di inglese alla scuola Berlitz che poi risultò non più disponibile e che venne sostituito con un offerta simile presso la sede della stessa scuola nella città italiana.

Così nel 1904 James e Nora affittano una stanza in via Ponterosso, ma ci restano solamente dieci giorni perché lo scrittore accetta un nuovo lavoro, apparentemente migliore, a Pola in Istria, che si rivelerà una delusione e che lo riporterà in Italia ai primi di marzo del 1905.

Da questo momento in poi la storia di Joyce a Trieste sarà frammentata da partenze e ritorni, costellata di periodi di estrema povertà e di altri di maggiore tranquillità finanziaria, di tensioni familiari e di lavori e scritti di vario genere in attesa della pubblicazione dei grandi capolavori.

Compagno di questo periodo, oltre a Nora a tratti esasperata dalla vita complicata accanto a James, fu il fratello minore Stanislaus che lo aveva raggiunto a Trieste e che cercava in ogni modo di aiutarlo economicamente e psicologicamente.

Ogni casa abitata da Joyce, ogni luogo da lui frequentato costituisce un itinerario che è stato ricostruito grazie al lavoro del museo dedicato a lui e allo scrittore italiano con cui stringerà amicizia, Italo Svevo. Il museo si trova in via della Madonna del Mare, 13, in una zona centrale della città ed è stato aperto al pubblico nel 2004.

 

Statua di Joyce a Trieste a Ponte Rosso sul Canal Grande, scolpita nel 2004 per celebrare i cento anni dall'arrivo dello scrittore nella città italiana.

 

La vita triestina di Joyce era ricca di stimoli intellettuali e di nuove scoperte. Per esempio Joyce amava andare all'opera ogni volta che ne aveva la possibilità. Arrivò ad assistere a ben otto rappresentazioni della Bohème di Giacomo Puccini allo storicoTeatro Rossetti. Spendeva molti dei suoi pochi soldi mangiando all'Osteria della Città di Parenzo in via del Ponte proprio dietro Piazza della Borsa o trascorrendo il tempo piacevolmente al Caffè San Marco.

 

Questo locale, inaugurato nel 1914, era ritrovo di studenti e intellettuali, ma fu devastato e chiuso dall'esercito austroungarico nel 1915, quando durante la prima Guerra Mondiale, venne riconosciuto come un luogo di ritrovo di giovani irredentisti, termine che indicava coloro che si battevano per l'indipendenza dei territori italiani sotto il dominio austriaco, come Trieste. Lasciato in stato di abbandono nel periodo tra le due guerre, il caffè ritrovò il suo vecchio splendore nel secondo dopoguerra tornando ad essere centro di incontri culturali. E' oggi riconosciuto come uno dei locali storici di Italia.

Ma la vita intellettuale non era tutto. Nei primi anni triestini, Joyce deve cercare sempre nuovi lavori per mantenere se stesso e Nora con cui il rapporto diventa teso ogni volta che James torna a casa avendo speso i soldi al caffè o a teatro. Nel 1906 lo scrittore accetta un lavoro in banca a Roma ed è costretto a lasciare Trieste, ma l'anno dopo annuncia a Stanislaus il suo rientro con un telegramma in cui definisce la sua partenza per la capitale un errore. James e Nora tornano poverissimi e hanno già un figlio Giorgio, nato a Trieste, e Nora ne aspetta un secondo, Lucia.

Gli anni di inzio secolo sono anche quelli in cui lo scrittore compone la sua raccolta “Gente di Dublino” che faticherà a trovare un editore fino all'anno della sua pubblicazione, il 1914, ma che sarà una delle opere che faranno grande l'autore irlandese.

Apri la finestra della app e scopri quanto conosci dei racconti di Gente di Dublino

 

In quel periodo Joyce lavora anche al Portrait of An Artist as a Young Man di cui legge al fratello alcuni capitoli assieme ai racconti ormai terminati di Gente di Dublino mentre sono seduti in un altro dei caffè storici della città, La Stella Polare, tuttora aperto in quella che oggi è via Dante.

Il suo romanzo su Stephen Dedalus sarà completato a Trieste e ad esso si affiancheranno ampi brani di Ulysses, come anche l'unica commedia scritta da Joyce e intitolata Exiles.

Secondo il critico John McCourt, autore di una biografia dell'autore dal titolo James Joyce. Gli anni di Bloom, Trieste ebbe una grande influenza sull'ispirazione artistica dello scrittore. L'Ulisse stesso, sempre secondo McCourt, deve tanto a questa città quanto a Dublino. Leopold e Molly nascono da un mondo eterogeneo, crocevia di religioni, lingue e culture diverse. Leopold è un ebreo, come ve ne erano tanti a Trieste, che ha però anche radici ungheresi. Molly mostra tratti mediterranei.

A Trieste nascono i figli di Joyce, ma Nora perde anche un terzo bambino e alcuni sostengono che questo avvenimento abbia potuto influenzare l'autore nell'immaginare il dolore di Bloom colpito dalla morte prematura del figlio.

Tornando all'anno 1907 in cui la famiglia Joyce torna da Roma, occorre ricordare le difficoltà non solo economiche vissute dall'artista la cui salute comincia a declinare. La sua vista diventa di giorno in giorno più debole, i dolori alla schiena e allo stomaco lo tormentano e vicino a lui c'è ancora una volta il fedele e affezionato fratello Stanislaus che contribuisce al sostentamento della famiglia e che, la sera, gli tiene compagnia spesso leggendo per lui ad alta voce.

Nonostante ciò, nel 1908 Joyce cercherà di reagire inserendosi nel mondo del commercio triestino e proponendo, senza successo, l'acquisto e la vendita di tessuti irlandesi ad uno dei più noti negozi cittadini.

Non sarà questa la sua strada, in quegli anni difficili, ed esattamente nel 1907, Joyce farà un incontro interessante con un altro scrittore, Ettore Schmitz, che ben rappresentava la complessa realtà culturale triestina. Egli era infatti uno scrittore di lingua italiana, cittadino austriaco, di religione ebraica che sceglierà come pseudonimo quello di Italo Svevo.

 

Statua di Italo Svevo in Piazza Attilio Hortis, a Trieste

Svevo e Joyce

L'incontro tra i due avviene perché Svevo chiede a Joyce di dargli lezioni di inglese visto che dovrà trascorrere del tempo in Inghilterra a lavorare presso una fabbrica di vernici della famiglia di sua moglie, ma l'affinità tra di loro è di tipo culturale. Entrambi scrivono. Svevo ha già terminato e pubblicato due romanzi Una Vita e Senilità che, però, la critica ancora non apprezza.

Egli, inoltre, collabora con il giornale principale di Trieste Il Piccolo e si ipotizza sia stato lui ad introdurre Joyce alla redazione.

E' così che l'autore irlandese scrive per il quotidiano triestino nove articoli tra il 1907 e il 1912 incentrati sulla questione dell'indipendenza irlandese.

 

Ma perchè un giornale di Trieste pubblicava articoli sulla questione irlandese?

 

Il Piccolo era interessato a storie riguardanti paesi che cercavano di ottenere la propria indipendenza dalle nazioni che li opprimevano. Erano quelli gli anni del cosiddetto irredentismo, parola che significa l'aspirazione del popolo triestino a riunificarsi con il resto d'Italia sciogliendo i propri legami con l'Impero Austro-Ungarico.

Il direttore del Piccolo, Teodoro Mayer, individuava un evidente parallelismo con la situazione irlandese. L'Impero britannico opprimeva l'Irlanda come quello austriaco Trieste, scrivendo del suo paese Joyce descriveva in qualche modo anche la città dove aveva scelto di vivere, ma il tutto restava a livello di allusione e il giornale non rischiava di essere condannato dalla censura.

Alcuni critici sostengono che questa breve esperienza giornalistica abbia ispirato a Joyce il settimo episodio dell'Ulisse ambientato proprio nella redazione di un giornale dublinese, il Freeman's Journal.

L'esperienza continuò anche con una serie di conferenze tenute a Trieste sulla storia e sulla cultura irlandesi e i loro legami con l'Europa.

 

L'incontro tra Joyce e Svevo fu molto più importante dal punto di vista letterario perché Joyce lesse e apprezzò quello che sarebbe diventata l'opera più significativa di Svevo, La Coscienza di Zeno, scritta tra il 1919 e il 1922 e pubblicata nel 1923. Il sostegno di Joyce fu importante perché fece conoscere il romanzo anche all'estero. Nel febbraio del 1926, quando Joyce viveva ormai a Parigi e grazie al suo supporto, il lavoro dello scrittore italiano trova spazio nel mondo culturale francese. In particolare la rivista letteraria Le Navire d'Argent pubblica un numero interamente dedicato a Svevo. Alla rivista collabora il critico Valery Larbaud che solo pochi anni prima, nel 1921, aveva accolto favorevolmente l'Ulisse di Joyce che stava per essere pubblicato in versione integrale proprio a Parigi.

 

Svevo e Joyce: innovazioni tecniche e narrative

Personaggi e temi principali

 

La Coscienza di Zeno è la storia di un uomo che vive nel mondo della borghesia ottimista e produttiva di inizio secolo, ma che sente profondamente il distacco e la crisi che lo portano lontano da quei valori che sembrano sempre più frutto di un'abitudine o un'imposizione più che di una scelta.

Zeno Cosini, il protagonista non trova il suo posto in quella società, non crede nei rapporti falsi basati solo su formalità e convenienza, si sente incapace di vivere in un ambiente a cui non appartiene.

 

Suggerimento per l'approfondimento: Prova a pensare ai personaggi di Gente di Dublino che conosci. In che modo si isolano dalla società attorno a loro? In che modo la loro vita è “paralizzata”?

 

 

Sia Joyce che Svevo costruiscono la loro narrazione a partire dal mondo interiore del personaggio.

Gli avvenimenti del libro sono meno interessanti del modo in cui il protagonista li vive. Qualsiasi cosa accada all'esterno provoca sentimenti, pensieri, reazioni anche inconsce che attivano la parte più profonda e nascosta del suo io.

 

Leggi i due estratti e prova a capire lo stato d'animo dei personaggi.

 

In questo brano Svevo racconta dei numerosi e fallimentari tentativi di Zeno di smettere di fumare. La sigaretta che sta fumando è sempre, almeno così lui crede, l'ultima.

 

“Le mie giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più e, per dire subito tutto, di tempo in tempo sono ancora tali. La ridda delle ultime sigarette, formatasi a vent’anni, si muove tuttavia. Meno violento è il proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo maggior indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto. Posso anzi dire, che da qualche tempo io fumo molte sigarette.... che non sono le ultime.

Sul frontespizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e qualche ornato: «Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studi di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!».

[...]

Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione.

[…]

 

Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su se stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute.” 

 

Confrontati con tuoi compagni sulla comprensione del testo:

 

1 Cosa rappresenta la sigaretta per il protagonista?

2 Perché, secondo te, Zeno non riesce a smettere di fumare?

3 Come sono cambiate le sue sensazioni con la vecchiaia?

 

Ora leggi un breve brano tratto da Eveline di James Joyce

 

“She had consented to go away, to leave her home. Was that wise? She tried to weigh each side of the question. In her home anyway she had shelter and food; she had those whom she had known all her life about her. Of course she had to work, both in the house and at business. What would they say of her in the Stores when they found out that she had run away with a fellow? Say she was a fool, perhaps; and her place would be filled up by advertisement.”

 

1 A cosa sta pensando Eveline?

2 Quali sentimenti le suscita ciò che sta probabilmente per accadere?



Confronta ora le idee emerse dal lavoro con i compagni con il commento che segue:

 

I personaggi seppur molto diversi tra loro, esprimono incertezza, incapacità di reagire ed essere propositivi per la propria vita. Zeno non riesce a smettere di fumare, preferisce restare in qualche modo “malato” del suo vizio piuttosto che partecipare della “sana” vita attorno a lui.

Eveline vorrebbe prendere una decisione importante, partire, lasciare una vita poco soddisfacente a Dublino e cominciarne una nuova ma non è sicura di averne la forza. (“ In her home anyway she had shelter and food; she had those whom she had known all her life about her.”)

 

Sei d'accordo con questa analisi?

 

Tecnica narrativa

 

Dalla lettura di entrambi i brani emergono elementi narrativi simili:

 

1 Tutto avviene all'interno della mente dei personaggi, i fatti esterni sono vissuti nella coscienza.

 

2 Il senso del tempo si perde nel monologo del personaggio che sembra parlare più con se stesso che con noi.

 

3 La storia non è raccontata secondo un rigido schema cronologico. Vi sono riferimenti al passato o al futuro.

(“Sul frontespizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e qualche ornato: «Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studi di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!”- “What would they say of her in the Stores when they found out that she had run away with a fellow?”)

 

4 Notiamo l'uso di punti esclamativi o di domanda che rendono la narrazione più vera e immediata.

 

Questa tecnica che ci introduce nella mente del personaggio e ci accompagna nel labirinto dei suoi pensieri si chiama MONOLOGO INTERIORE.

 

I due filosofi che influenzarono scrittori come Joyce e Svevo sono:

 

Sigmund Freud e Henri Bergson.

 

Freud, padre della psicanalisi, mostra alla società di fine secolo la fragilità di ogni certezza umana. Ciò che conosciamo di noi stessi è solo la punta di un iceberg, la parte inconscia, quella nascosta sotto la superficie dell'acqua, costituisce la forza che ci fa spesso inconsapevolmente agire e che ci rende forse più autentici.

Bergson definisce il tempo come duplice: il tempo oggettivo trascorre con lo spostarsi delle lancette dell'orologio, mentre quello soggettivo è interiore nel senso che rappresenta il modo in cui noi percepiamo il passare di minuti e ore e che varia a seconda della situazione e della persona.

Quanto tempo trascorrono Zeno e Eveline a pensare alle loro vite?

Pochi minuti? Ore?

Non ci è dato di saperlo. Leggiamo pagine intere e noi stessi lettori perdiamo il senso del trascorrere del nostro tempo.

Il collegamento tra Freud e Svevo è ancora più evidente che nelle opere di Joyce. Infatti la stessa Coscienza di Zeno è pensata dall'autore come un immaginario diario tenuto dal protagonista durante un periodo di cura presso uno psicoterapeuta che decide, agendo scorrettamente, di pubblicarlo all'insaputa del suo paziente con cui, ad un certo punto, entra in conflitto.

E' così che Zeno scrive nell'ultimo capitolo del libro:

L’ho finita con la psicoanalisi. Dopo di averla praticata assiduamente per sei mesi interi sto peggio di prima. Non ho ancora congedato il dottore, ma la mia risoluzione è irrevocabile. Ieri intanto gli mandai a dire ch’ero impedito, e per qualche giorno lascio che m’aspetti. Se fossi ben sicuro di saper ridere di lui senz’adirarmi, sarei anche capace di rivederlo. Ma ho paura che finirei col mettergli le mani adosso.”

Forse il suo personaggio non crede più alla cura, ma di certo l'autore sente il richiamo e il fascino della pratica psicanalitica che stava influenzando la scrittura e il pensiero degli intellettuali europei.

 

Prova ora a svolgere l'esercizio nella nuova finestra e verificare la comprensione di quanto letto.

 

Subito prima della Grande Guerra

 

I primi anni dieci, tra il novembre 1912 e il febbraio 1913, vedono Joyce impegnato in una nuova serie di conferenze all'associazione Minerva, prestigioso centro culturale della città, inaugurato all'inizio dell'800 e tuttora attivo. Le conferenze, che inizialmente dovevano essere dieci, ebbero un tale successo da includerne alla fine due in più. Gli argomenti trattavano di letteratura e di Shakespeare e il Piccolo ne fece delle buone recensioni.

Nel 1913 Joyce riceve anche l'incarico presso la Scuola Revoltella come insegnante di inglese e di corrispondenza commerciale grazie all'interessamento di Svevo.

Il 23 maggio 1915 tutto cambia. L'Italia annuncia l'ingresso nella Prima Guerra Mondiale e a Trieste è il caos. La città viene invasa da manifestanti antiitaliani e filoaustriaci che si scontrano per le strade con i nemici irredentisti e saccheggiano i caffè tanto cari a Joyce, il San Marco e la Stella Polare. Joyce prova a restare in città, continua a scrivere l'Ulisse, ma la scuola Revoltella è costretta a chiudere e anche Joyce partirà da Trieste il 27 giugno. In quanto cittadino di un paese straniero non era per lui prudente restare in Italia. Tornerà ancora per brevi soggiorni e per lasciarla definitivamente e non tornarci mai più nel 1920.

Se vuoi ascoltare un riassunto di quanto letto finora accompagnato da delle immagini di Trieste, guarda il video.

 

 

Negli stessi anni in cui Joyce e Svevo creavano un romanzo nuovo, a Trieste scriveva un poeta, Umberto Poli che prenderà lo pseudonimo di Umberto Saba e che sarà capace di raccontare la sua città con sentimento, malinconia e delicatezza in molti dei suoi aspetti.

La Trieste di Saba non è sempre la città viva e attiva che incontrò Joyce. E' anche la Trieste più nascosta, riflessiva e spesso umile.

In particolare, nella poesia Città Vecchia, Saba descrive un quartiere popolare che scende dal colle di San Giusto fino al confine con Piazza dell'Unità d'Italia, il quartiere di Cavana. Qui le vie sono strette e ripide ed erano abitate, una volta, dagli abitanti più poveri.

 

 

Spesso, per ritornare alla mia casa

prendo un'oscura via di città vecchia.

Giallo in qualche pozzanghera si specchia

qualche fanale, e affollata è la strada.

 

Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.

Dalla raccolta “Trieste e una donna” 1910-1912

 

Il seguente piccolo glossario ti potrà aiutare a capire le parole più diffcili del testo:

Lupanare: casa dove si trovavano le prostitute

Detrito: frammento normalmente di materiale roccioso che è andato distrutto

Bega: litiga

Dragone: soldato

Friggitore: il negoziante che prepara cibo fritto

Tumultuante: sconvolta per amore

Turpe: bassa, spregevole.

 

Confrontati con i tuoi compagni sul significato delle immagini della poesia.

 

Cosa prova Saba per gli uomini e le donne che descrive e che vivono come gli ultimi della società?



Fai l'esercizio della terza app e scopri se hai capito il senso della poesia.

 

Oggi il turista che visita il quartiere di Cavana lo trova molto cambiato da quello descritto da Saba,

le case sono state ristrutturate e si presentano come nuove e colorate.

Le piccole strade strette sono ricche di locali, bar, ristoranti e negozi

 

 

 

Trieste e i suoi dintorni hanno molto da offrire al visitatore: cultura, storia, natura, ma una delle cose più belle da fare è passeggiare senza avere una cartina tra le mani né una meta determinata. Si scoprono piccoli angoli dove restare da soli a godere della bellezza e a pensare.

Così dice Umberto Saba nell'ultima strofa della sua poesia intitolata appunto “Trieste”

 

"La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva"

 

L'augurio al visitatore è proprio questo: di trovare un posto, nascosto dalla folla, dove stare solo con se stesso e sentire battere il cuore della città.












 



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